
C'è una cosa che sento sempre, da 4 anni a questa parte, quando corro. Meglio, quando corro ed è primavera. Non parlo della natura in fiore, dei mille colori che si affacciano alla vita dopo il letargo invernale, del sole a tratti cocente a tratti ancora fresco, che mi sembra quasi di vederlo mentre scrolla dai raggi l'ultimo velo di brina. Non parlo nemmeno del vento che ogni anno, puntuale come un orologio svizzero, prende la rincorsa e scende lungo la vallata, incanalandosi tra le colline per affrontare con più forza lo sprint finale (tratto lungo il quale, ettepareva, incontra la sottoscritta costringendola a fare il triplo della fatica). Parlo di una nostalgia, sottile ma comunque percettibile per chi, imolese come me, ricorda ancora nitidamente cosa portava con sè la primavera fino a 4 anni fa: gente, persone, bandiere, trombette da stadio, lingue straniere, voglia di vincere, confusione, tende, baracchine di piadine romagnole piazzate ovunque, strade chiuse al traffico, cartelli indicanti zone di parcheggio ad ogni albero, musica che di notte scendeva dalle colline. E poi, alle 13 del sabato e alle 14 della domenica, un silenzio strano, rarissimo, accompagnato da un rumore costante.. che chiamarlo rumore a me non piace, perchè "rumore" è qualcosa che ti infastidisce, che ti irrita. Io lo aspettavo tutto l'anno, quindi per me non era rumore, era melodia.
Sembra ieri.
Sperare con tutta l'anima che quel week end fosse bel tempo, che non piovesse perlomeno. E gli anni, rari purtroppo, in cui la gara era prevista oltre la metà di aprile, era la gioia. Essere svegliata alla mattina dal rumore degli elicotteri, quando ancora stavo nella vecchia casa. Fare colazione in fretta, precipitarmi in giardino, osservare le strade gremite di auto e la pista ciclabile percorsa da ondate di tifosi tutti colorati. Aiutare i miei zii a "fare parcheggio" e farne un po' anch'io, riuscendo a sistemare nel mio cortile 4 o 5 macchine e qualche motore. Ricordo che un anno, facevo ancora le medie, tre ragazzi hanno passato la notte in tenda nel mio fazzoletto di prato. Io e la mia amica gironzolavamo loro intorno, erano molto carini e poi erano grandi e questo ci faceva perdere la testa. Seguire la gara alla tele, sapendo che se anche avessimo abbassato il volume, le macchine si sarebbero fatte sentire entrando dalle finestre. Chiedere a babbo di accompagnarmi su per i colli, per vedere anche solo un po' di frullo, qualche tedesco allegramente ubriaco, certi particolari di Imola magicamente diversi: tir enormi parcheggiati lungo le strade che costeggiano la Rivazza, accampamenti improvvisati vicino alla Tosa, il ponte dell'ingresso all'Autodromo irrimediabilmente affollato di bancarelle. Essere orgogliosa di vedere così tanta gente qui, proprio qui, in questa mia cittadina che semplicemente adoro. Sentire crescere la malinconia, la domenica pomeriggio, nel vedere tutti tornare alle auto, alle moto, ai camper, ai pullman.. dare qualche indicazione per evitare le code, io piccina che mi aggiravo in bici tra stranieri ed italiani, e ogni volta non mi sembrava vero di averli tutti lì.
Il 2004 è stato l'ultimo anno in cui il circuito di Imola ha ospitato il Gran Premio di Formula 1. Lasciamo perdere i miei ricordi fanciulleschi. Lasciamo perdere anche il fatto che il tracciato è stato modificato, che l'intero edificio che ospitava i box è stato fatto saltare in aria per essere ricostruito e, quindi, ammodernato. Lasciamo stare che tutto questo è costato un tot di soldi, come è facilmente desumibile. Lasciamo stare tante cose, che (penso di poter parlare a nome di un tot di imolesi) ci sono rimaste sul groppone. Ma la storia, dove la mettiamo? Dove lo mettiamo il nome del circuito che, non per dire, è intitolato a 2 certi signori, Enzo e Dino Ferrari? Dove le mettiamo le sue curve, il suo arrampicarsi sulle nostre belle colline per poi scendere verso il fiume Santerno quasi ci si debba tuffare tutto dentro? Dove lo mettiamo il ricordo di chi, a prescindere dalle responsabilità individuali, qui a Imola ci ha lasciato la vita? Certo, la memoria di un Senna o di un Ratzenberger non dipende da una striscia di asfalto, come non dipende da una statua o dai mazzi di fiori che ancora oggi qualcuno ci appoggia. Io, per esempio, Gran Premio di Imola o meno, mi ricorderò sempre del rumore dell'elicottero che passava sopra casa mia per portare Airton all'ospedale. Comunque resto dell'idea che Eccleston non rimarrebbe al verde, se riportasse tutta la baracca qui. Basterebbe abbassare i prezzi dei biglietti (ormai da capogiro negli ultimi anni) e le tribune tornerebbero ad essere invase dai fedeli tifosi di Imola. Ma forse è meglio correre in mezzo al deserto, con un solo alberello mingherlino a fare un po' di ombra e nessuna bandiera colorata all'orizzonte. E se la vedete, non illudetevi: è solo un miraggio dovuto all'arsura.